Il rapporto tra musica e politica risale a molto tempo fa. Per più di un secolo infatti, la musica è stata la colonna sonora di molti movimenti di protesta socio-politica, ribellioni e campagne che hanno profondamento cambiato la società.

In questo articolo ripercorriamo la complicata, e a volte conflittuale, storia tra musica e politica. La riporteremo ai giorni nostri, esplorando l'odierna relazione tra popstar, primi ministri e presidenti.

La storia della musica di protesta

Gli anni Cinquanta segnarono la grande diffusione della musica registrata ma fu la musica degli anni Sessanta a caratterizzare la rivoluzione culturale. La vendita di musica aumentò con il passaggio dai fragili dischi a 78 giri ai singoli a 45 giri e agli album LP. L'esposizione del grande pubblico alla musica raggiunse l'apice con la diffusione della televisione e della radio.

Così tutto fu pronto affinché la musica diventasse un veicolo per proteste, mobilitazioni sociali e per l'espressione delle identità personali.

Il movimento per i diritti civili negli Stati Uniti

La musica è stata uno strumento fondamentale per il Movimento per i diritti civili d'America, che si batteva per la fine della segregazione razziale degli afroamericani. Il movimento raggiunse il suo apice negli anni '60 con eventi come la “Marcia su Washington per il lavoro e la libertà ” del 1963, durante la quale Martin Luther King pronunciò il famosissimo discorso “I have a dream”.

Sullo stesso palco di Martin Luther King si esibirono tanti artisti, tra i quali Joan Baez e Bob Dylan. Tra loro anche una giovane cantante folk, blues e jazz di nome Odetta Holmes che cantò "Oh, Freedom", uno spiritual risalente agli anni della Guerra Civile Americana. in favore delle rivolte razziali che causarono la morte di tanti afroamericani.

In quell'anno anche John Coltrane incise "Alabama". La canzone era la sua risposta all'attacco a una chiesa battista in cui il Ku Klux Klan uccise quattro bambini. Altre memorabili canzoni di protesta del movimento furono "A Change Is Gonna Come"  di Sam Cooke e "Mississippi Goddam" di Nina Simone.

Molti movimenti degli anni '60 e '70 diedero vita a canzoni che catturarono la rabbia e le speranze di cambiamento dell'epoca.

Tra gli esempi più significativi ricordiamo “Student Demonstration Time” dei Beach Boys, contro la sparatoria della Kent State University del 1970; “You Don’t Own Me” di Lesley Gore che si schierò a favore dell'emancipazione femminile e “The Ballad of Ira Hayes” di Johnny Cash che richiamò l'attenzione sui diritti dei nativi americani.

 

Il movimento punk inglese degli anni '70

Il movimento per i diritti civili plasmò l'attivismo musicale americano. Ma anche dall'altra parte dell'Atlantico, i giovani del Regno Unito fecero sentire la propria voce. Il movimento punk degli anni Settanta rappresentò la ribellione dei giovani del inglesi a un sistema che sembrava averli abbandonati.

La canzone più famosa di quell'epoca fu “God Save the Queen” dei Sex Pistols, che attaccava la monarchia e l'establishment. “Anarchy in the UK”, il singolo di debutto della band, dipingeva un quadro desolante di disperazione e lotte settarie.

L'intero album dei Clash “London Calling” (1979)  descriveva le difficili lotte urbane della Gran Bretagna. La canzone principale esprimeva l'ansia della band per la guerra nucleare, il debito e il collasso di tutta la società inglese.

 

Dalla protesta alla beneficenza collaborativa

La protesta e la ribellione nella musica continuarono anche negli anni '80 e '90, ma con meno intensità. Alcuni artisti si dedicarono comunque ad inviare i loro potenti messaggi in musica, come "Two Tribes"  dei Frankie Goes To Hollywood, che metteva in guardia sul tema della guerra nucleare.

Anche Michael Jackson dedicò all'ambiente la canzone “Earth Song”. Mentre “Smalltown Boy” dei Bronski Beat divenne un inno per i diritti e l'accettazione dei gay. Infine Artists United Against Apartheid registrarono “Sun City” e invitarono altri artisti a non esibirsi in Sudafrica in segno di protesta. 

Infine anche popstar come Bob Geldof, Sting e Bono possono essere considerati attivisti per il loro impegno in partnership con la politica. Più che fare la rivoluzione il loro obiettivo fu incentrato sul coinvolgimento e la cooperazione con i leader politici: lavorare all'interno del sistema, più che cercare di abbatterlo.

"Do They Know It's Christmas?" di Band Aid rappresentò il punto di svolta che unì gli artisti per cause benefiche, seguito da "We Are The World" di USA for Africa. Il concerto Live Aid del 1985 cementò questo rapporto che è durato fino al Live 8 del luglio 2005 realizzato in concomitanza con il vertice del G8. L'obiettivo era quello di sensibilizzare l'opinione pubblica sui problemi dell'Africa e di raccogliere fondi per combattere la povertà e la fame.

La politica del pop di oggi

La musica e le politiche identitarie sono alla base di gran parte dell'attivismo più recente. Nel corso del tempo l'impegno degli artisti è diventato più personale e legato alle identità.

Beyoncé e Kendrick Lamar hanno esplorato l'identità razziale e l'ingiustizia sociale attraverso la loro musica. Taylor Swift ha sostenuto campagne per l'uguaglianza di genere e Stormzy ha sostenuto l'uguaglianza razziale.

Tuttavia, alcuni tipi di attivismo oggi sembrano più dettati da esigenze di business che realmente sentiti.

In occasione delle elezioni americane del 2024, abbiamo scoperto quanto i politici siano disposti a pagare somme significative, che possono raggiungere i milioni di euro, per essere supportati. E alcuni musicisti sembrano essere particolarmente felici di questo.

 

Il pop e la politica nel Regno Unito

Forse percependo questo cambiamento, molti politici oggi non chiedono più l'appoggio degli artisti. Al contrario, scelgono canzoni popolari per farne la colonna sonora alle loro campagne, spesso senza dover chiedere alcun permesso di utilizzo.

Questo ha portato ad alcune recenti controversie. Ad esempio nel Regno Unito chiunque abbia più di 40 anni associa "Things Can Only Get Better" dei D:Ream alla vittoria elettorale dei laburisti nel 1997. In seguito la band ha deciso di non volere che nessun politico usi più quella canzone.

Il partito conservatore inglese nel 2022 (quando era all'opposizione) si mise nei guai a causa del goffo balletto dell'ex premier Liz Truss mentre saliva sul palco sulle note di "Moving On Up" degli M People. Un'altra ex PM Theresa May divenne un meme nel 2018 con la sua danza robotica su "Dancing Queen" degli Abba durante la convention dei Tory.

Il pop e la politica negli Stati Uniti

Negli Stati Uniti le polemiche sono state ancor più forti. Il Presidente Donald Trump ha ripetutamente irritato gli artisti utilizzando le loro canzoni senza autorizzazione.

Neil Young si è opposto all'uso di "Rockin' in the Free World" nei comizi elettorali di Trump. Allo stesso modo Adele ha diffidato Trump dal continuare ad usare la sua canzone "Rolling in the Deep".  I Rolling Stones hanno minacciato azioni legali per l'uso di "You Can't Always Get What You Want", solo per citare i casi più noti.

Non tutti però sono contrari. I Village People all'inizio erano un po' a disagio per l'uso di “Y.M.C.A” da parte di Trump, ma poi hanno dato il loro permesso. Anche Beyoncé ha ufficialmente permesso alla campagna di Kamala Harris di utilizzare la sua canzone “Freedom” nel 2024.

Continua anche la stretta relazione tra la musica country e la politica americana, in particolare quella conservatrice. Canzoni come “God Bless the USA” di Lee Greenwood sono diventate dei punti fermi della campagna elettorale presidenziale. Ci sono tuttavia delle eccezioni, come quando gli aventi diritto della leggenda del country Tom Petty si sono opposti con forza all'utilizzo da parte di Trump della canzone “I Won't Back Down”.

In alcuni casi gli artisti protestano, ma sembra che possano fare ben poco contro certa politica.

In un prossimo post parleremo del rapporto complicato tra musica e politica in Italia.

Politica, musica e produzioni filmiche

Come abbiamo visto alcuni politici non sembrano aver bisogno di autorizzazioni per includere canzoni protette da copyright nelle loro campagne. Tuttavia registi e case di produzione che lavorano per il cinema, serie tv e pubblicità non posso permettersi passi falsi in materia di licenze di utilizzo.

A chi non piacerebbe poter utilizzare musiche dei Beatles, dei Queen o degli Stones, ma i budget potrebbero non essere sufficienti a coprire tali spese. Tuttavia è sempre possibile arricchire le proprie produzioni audiovisive con musiche di qualsiasi epoca del passato con i cataloghi di Universal Production Music. Con musica dagli anni  cinquanta del novecento in poi, abbiamo oltre 5.200 brani tra cui scegliere, di cui oltre 4.000 selezionati appositamente per l'uso in film e serie TV.

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